Perché abbiamo tuttз bisogno di uno svincolo dal genere

E non dovremmo litigare su quale sia meglio

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Originale di John Stoltenberg su An Injustice. Si ringrazia Chiara per la rilettura e aiuto per correzioni e miglioramenti vari.


Si sente molto parlare di questi tempi della molteplicità di sforzi umani di resistere a o scappare dall’egemonia del genere. Parte di questo chiacchiericcio è giudicante e esprime disapprovazione. Un’altra parte è celebrativa ed esprime approvazione. E gran parte dell’attenzione verte su ciò che lз ragazzз di oggi stanno facendo - dichiarandosi non conformi all’eteronormatività, transizionando verso un’altra identità di genere, vivendo secondo il proprio sé autentico in modi che le generazioni precedenti potevano a malapena immaginare, e così via.

C’è stata una grande quantità di persone nella storia che hanno disertato dalle aspettative di genere, venendo accettate in misura maggiore o minore dagli altri. Il fenomeno non è nuovo. Ma ciò che oggi è diverso è che è in corso un terremoto giovanile multiculturale e multirazziale, una tendenza che non mostra segni di rallentamento e sembra crescere esponenzialmente.

Non sto facendo esempi di proposito - probabilmente ci starete pensando voi mentre leggete - perché sono meno interessato ai particolari del caso che al quadro generale: l’aumento del traffico su quelli che io chiamo svincoli dal genere. Perché se l’egemonia di genere è un’autostrada (diretta chissà dove), sempre più di noi stanno cercando di uscirne e andare da qualche altra parte.

Inquadro il mio argomento in questo modo perché voglio sottolineare ciò che collega tutti i punti - tutte le rinunce comuni agli obblighi di genere (molte delle quali sostenute dalla concitazione del femminismo radicale) così come quelle meno convenzionali (alcune delle quali sono state condannate da una parte delle stesse femministe radicali).

Ciò che tutte queste rinunce hanno in comune è una nascente ribellione umana contro le categorie gerarchiche ontologiche uomo e donna. Nonostante siano svincoli che vanno in direzioni disparate, e vengano percorsi con diversi gradi di urgenza, su veicoli di varie dimensioni, cercano tutti di lasciarsi alle spalle la stessa strada principale.

Il genere binario normativo è una strada gelida. Molte persone dedicano la propria vita a rimanere nella corsia loro assegnata su quell’autostrada apparentemente favolosa, costi quel che costi, senza rendersi davvero conto di cosa stanno facendo.

C’è stata una vasta critica a quell’autostrada molto trafficata ed al suo codice della strada. C’è chi pensa che il genere binario normativo sia tutta una questione di apparenze e attributi. Altrз, me compreso, esaminano il genere come gerarchia di classe costruita socialmente con azioni ed etica. Ma non è stata prestata abbastanza attenzione empatica a cosa in primis fa sì che qualcunǝ abbia bisogno di prendere una strada meno frequentata.

Come società non abbiamo ancora un vocabolario funzionante, o un cuore che ascolta, per le disconnessioni emotive, mentali e fisiche che sono sintomi di ciò che va riconosciuto come un malcontento di genere quasi universale.

Invece, le persone umiliano e incolpano chi sceglie svincoli che a loro non piacciono. La gente litiga su quale svincolo dovrebbe essere permesso e quale no. Si concentra su determinate uscite e perde di vista la strada oppressiva.

Credo che se ci fosse più onestà e apertura sul perché quell’autostrada è un inferno - cioè il motivo per cui rimanere nella propria corsia sia stato psicologicamente insostenibile - emergerebbero una consapevolezza e un linguaggio ampiamente condivisi che potrebbero aiutare col tempo tuttз quellз ancora bloccatз nel traffico.

Tuttз coloro che prendono uno svincolo dal genere vogliono andare in un altro posto dove possono essere tranquillamente se stessз. In un certo momento cruciale e personale, non è più l’autostrada, è la mia strada. Ma dov’è esattamente quel posto? Come potrebbe essere? Cosa lo renderebbe degno di viaggiarci per tuttз?

Litigare sugli svincoli non creerà quel futuro.

Quindi diciamo la verità in faccia all’egemonia di genere e condividiamo profondamente come persone i motivi per cui ognunǝ di noi aveva bisogno di sfuggirvi. E poi ascoltiamo attentamente con rispetto e vediamo se le nostre storie - che parlano, dopotutto, della stessa autostrada della supremazia bianca e maschile - hanno più cose in comune del previsto.

Andrea Dworkin ha modellato questa empatia radicale nel 1978:

Sapevo che lз transessualз in Europa fossero una piccola minoranza perseguitata vigorosamente, senza possibilità di ricorso alla protezione civile o politica. Da quel che ho visto vivevano in completo esilio, rievocando in me gli aspetti più profondi dell’esperienza ebraica. Erano spintз dalla propria ostracizzazione a prostituirsi, drogarsi e suicidarsi, rievocando in me gli aspetti più profondi dell’esperienza femminile. Il loro senso di distacco dal genere era compatibile con il mio, nel senso che la mia rabbia per le definizioni culturali e cosiddette biologiche dell’essere donna era assoluta. Ho percepito la loro sofferenza come autentica…. Guardando indietro, posso accorgermi di altre fonti, allora sconosciute, della mia particolare empatia. Le transessuali maschio-femmina si stavano ribellando contro il fallo, così come me. I transessuali femmina-maschio aspiravano a una libertà possibile solo nel patriarcato, così come me. I mezzi erano diversi, ma gli impulsi erano collegati. Non ho cambiato idea.1

“I mezzi erano diversi, ma gli impulsi erano collegati.”
O, detto diversamente: I nostri svincoli dal genere sono necessariamente diversi, ma il bisogno di uscire dall’autostrada gerarchica egemonica è un’esperienza umana profondamente condivisa.

Riferimenti

  1. Letter to Jan Raymond, January 15, 1978, quoted by Martin Duberman in Andrea Dworkin: The Feminist as Revolutionary, page 161. 

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